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Castelluccio Inferiore: 'nzirrichë e trocch-lë tradizioni scomparse


Durante la Settimana Santa non ci si può sottrarre all'abbondanza di riproduzioni del sacrificio del Nazareno. La tivù manda in onda a ripetizione fiction rievocanti l'avvenimento sacro. In epoca non pandemica anche le diverse comunità si organizzavano con attori e testi improvvisati. Nella Valle del Mercure vi è una vera e unica eccezione "La Giudaica", rappresentazione itinerante tra gli ambienti del territorio di Laino Borgo (CS), che è stata oggetto di numerosi studi di diversi Atenei italiani. Ad essa è stata dedicata qualche anno fa, proprio nel comune ove viene rappresentata, un’importante e lodevole giornata di studi sul tema “La Giudaica tra sacralità e teatralità”. Parteciparono, portando il loro esperto contributo, la Dott.ssa Burdi, etnologa che collabora su questo tema con il CNR e l’Università di Messina, il Prof. Satriani dell’Università di Roma “La Sapienza” e il Prof. Deriu dell’Università di Calabria.


A Castelluccio Inferiore, invece, un tempo -neppure troppo lontano- la settimana santa aveva due momenti di elevato pathos popolare: la lavanda dei piedi dell'ultima cena e la processione del Venerdì Santo. In quest'ultima occasione, con il batacchio delle campane impedito a fare il suo dovere, il corteo in processione veniva accompagnato dal rumore funereo delle 'nzirrichë e delle trokk-lë. Ragazzetti vestiti con bianche cotte e zimarre nere (cioè il vestito essenziale del prete di paese) si ponevano a fianco del parroco: Uno di loro era incaricato di ostentare la croce circondato dagli altri che facevano vibrare nell'aria il suono metallico e ligneo di questi due oggetti costruiti artigianalmente. La 'nzirricä costituiva un capolavoro del falegname in quanto composta da una serie di pezzi di legno formati da una ruota dentata innestata su un manico e una parte rotante dotata di una o più linguette. Facendola roteare, le linguette scorrono sui i denti della ruota e si ottiene un rumore costante e monocorde, talvolta fastidioso (da qui anche il detto "si na 'nzirricä" per indicare una persona che parla in continuazione e sempre con lo steso tono di voce). Più rustica, ma non meno essenziale, la trocch-lä: formata da una base di legno (generalmente ricavata dalle assi di vecchie porte) su cui si innestavano i mashkitt', cioè le chiusure metalliche delle stesse porte, o delle maniglie ma sempre metalliche che durante lo scuotimento delle tavole andavano a sbattere sulle medesime provocando il tipico rumore.





La trocch-lä come attestano molti sacerdoti, “veniva usata al termine dell’Ufficio delle Tenebre (Ufficium Tenebrorum) e ancora oggi evoca nelle radici storiche del Vangelo, il fragore della terra su cui scesero le tenebre con la morte del Cristo. A quel crepitio evangelico che si fa preghiera durante la processione del Venerdi Santo, seguirà nella notte di Pasqua, l’Exultet, l’esultanza delle campane di bronzo che annunceranno nella gioia: Resurrexit, sicut dixit…E’ risorto, Alleluia”.Ora questo non avviene più, e la processione, oggi non effettuabile per la normativa anti-Covid, nel suo rituale conserva di antico solo il trasporto del corpo deposto del Cristo portato a braccia in una suggestiva bara di antica manifattura.


Permane invece la tradizione della preghiera collettiva. Infatti, durante tutta la settimana della passione del Cristo, le donne si recano nell’area urbana prossima alla sede degli scavi archeologici che hanno riportato alla luce un’antica villa mansio romana prossima al percorso della via Popilia. L’area è denominata Vigna della Corte (Vign a Cùrt), indicando in tal modo gli antichi possedimenti della Corte Marchesale. Qui sorge anche la piccola cappella della Madonna dei setti dolori, ove appunto si perpetua la recita del rosario con preghiere particolari, antiche, in testo dialettale che ormai sono affidate solo alla memoria di poche donne anziane e al trasferimento per tradizione orale. Le preghiere sono inframmezzate dal racconto del sacrificio del Cristo e anche in questo caso il testo è completamente in dialetto. C’è da dire però che non essendo presente un testo scritto, già qualche cambiamento nei vocaboli adottati è possibile notarlo. Ma chi può arrestare l’evoluzione della lingua parlata? Ai puristi il compito di riprodurre il testo e preservarlo dagli attacchi dei tempi.







Pubblicato su La nuova del Sud, venerdi' 2 aprile 2021, pagina 12








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